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USO DELLA PAROLA LATINA SUPERSTITIO CONTRO I PAGANI

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La parola latina superstitio, da cui l'italiano superstizione, ha avuto in realtà diversi significati nel corso dei secoli ed è stata usata per definire (anche) il cristianesimo prima e il paganesimo poi. Ma quello che più importa sottolineare in questa pagina è che questa diversità di usi è stata a sua volta usata come inganno, in ambito giuridico, nei confronti dei pagani; da quello che si può leggere qui, anche i pagani moderni possono imparare una lezione su come sia importante capire il significato che una certa parola ha per il nostro interlocutore.

Il primo significato attestato del termine superstitio è "pratica divinatoria": in questo senso lo usano Plauto, Ennio e più tardi Plinio. Dal I secolo a.e.v. è attestato un altro significato, molto importante per questo nostro discorso, di "pratica esterna alla religione ufficiale", il che può indicare non solo una pratica che semplicemente non fa parte della religione ufficiale perché ha diverse origini (una pratica privata di una famiglia in particolare o una esterna), ma anche una pratica che è eccessiva e irrazionale o che comporta un timore religioso eccessivo o irrazionale. In questo senso la usa Livio per definire i Baccanali soppressi dal Senato e per questo Plinio la userà per il cristianesimo, mentre Varrone, Cicerone, Seneca e Servio la usano per indicare pratiche romane ma esterne alla religione ufficiale.

Con questo significato, la parola superstitio entra in ambito giuridico. L'entrata di una parola nella formulazione delle leggi è importante perché la rende un termine tecnico per definire quello che è lecito e quello che non lo è; mentre una parola usata in ambito letterario o filosofico può essere spiegata dall'autore o dal contesto, una parola usata in una legge dev'essere chiara per tutti. Vedremo tra poco che non è stato così nelle leggi della tarda antichità.

Inizialmente, troviamo superstitio nelle leggi che condannano chi induce nelle menti deboli l'eccessivo timore della divinità (una legge di Marco Aurelio) o chi pratica una religione che terrorizzi la gente (un'altra legge del tardo principato). Questo eccessivo timore è quello che viene chiamato superstitio. Da qui è chiaro perché alcuni autori definiscono il cristianesimo superstitio.

I polemisti e gli apologeti dei primi secoli del cristianesimo si trovano così tacciati di "superstizione"; assorbendo il significato della parola come "credenza irrazionale" cominciano a ribaltare l'accusa sui pagani e nei loro testi superstitio diventa sinonimo di paganesimo. Lattanzio scrive che religio veri dei cultus est, superstitio falsi, la religione è il culto del vero dio, la superstizione di uno falso (Divinae institutiones, 4.28.11). La stessa idea la ritroviamo in Tertulliano, che parla di gentilicia o romana superstitio, superstizione dei gentili o romana, e in Orosio.

Nel IV secolo, quando il cristianesimo comincia a farsi largo fino a diventare religione di stato, convivono due significati della parola: i pagani la usano per tutte le pratiche religiose eccessive, i cristiani per indicare il paganesimo. In una prima legge del 319 la parola superstitio è usata ancora nel senso di divinazione.

Questa ambiguità finisce per rivolgersi contro i pagani, perché viene utilizzata alla fine contro di loro. Questo non accade solo in campo giuridico: anche il panegirista che scrive la lode a Costantino dopo la sua vittoria contro Massenzio (era la famosa battaglia di Ponte Milvio, quella della visione della croce raccontataci da Eusebio) resta volutamente nell'ambiguità, scrivendo che Costantino avrebbe vinto grazie ai divina praecepta, i suggerimenti divini, e Massenzio perso per aver fatto superstitiosa maleficia. Un lettore pagano avrebbe capito che Massenzio aveva praticato magie illecite, affidandosi ad una superstizione per vincere, mentre un lettore cristiano avrebbe capito che Massenzio aveva perso poiché pagano, mentre il dio dei cristiani avrebbe sostenuto l'imperatore. Costantino poté agire contro i pagani solo in Oriente, non ancora in Occidente dov'erano più numerosi. In un'iscrizione trovata a Hispellum, in Umbria, Costantino vieta che i templi siano usati in maniera superstitiosa: ancora una volta, un pagano avrebbe capito che si voleva vietare una pratica religiosa irrazionale ed eccessiva, un cristiano avrebbe capito che si vietavano i riti pagani. Forse per questo Eusebio sostiene che Costantino vietasse i sacrifici e la frequentazione dei templi, quando invece non abbiamo nessuna legge a riguardo.

Ovviamente, un'ambiguità in campo giuridico è più pericolosa dell'ambiguità in ambito letterario, com'era per il panegirico a Costantino, e può essere usata a vantaggio di una parte. Costanzo, successore di Costantino, cristiano, sfruttò le incomprensioni relative al termine nella famosa legge del 341 cesset superstitio, sacrificiorum aboleatur insania, smetta la superstizione, sia abolita la follia dei sacrifici. Oggi ci appare quasi scontato che si desiderasse abolire i sacrifici, ma all'epoca la legge poteva essere applicata in due modi: un funzionario pagano avrebbe impedito un numero eccessivo e inopportuno di sacrifici, che avrebbe considerato superstizioso come possiamo pensarlo noi oggi, un funzionario cristiano avrebbe applicato la legge abolendo del tutto i sacrifici pagani. In questo modo Costanzo poteva soddisfare la volontà cristiana di abolire il paganesimo là dove il cristianesimo era già più forte, senza però provocare la reazione pagana perché i pagani avrebbero inteso in altro modo la proibizione, approvandola addirittura perché si collocava sulla scia di altri provvedimenti contro pratiche religiose che erano rivolte più che altro all'ostentazione. Infatti, dopo la legge i sacrifici a Roma continuano tranquillamente; in un'altra legge rivolta al prefetto di Roma Catullino, che era pagano, Costanzo lo invita a sradicare le superstitiones, ancora una volta giocando sull'ambiguità del termine.

Quando Costanzo afferma il suo potere sconfiggendo Magnenzio, non ha più bisogno di mantenere buoni rapporti con i pagani dell'impero: le leggi successive, tra il 356 e il 360, proibiscono la venerazione delle immagini pagane, chiudono templi e vietano la divinazione. In nessuna di queste leggi si usa il termine superstitio.

Nelle leggi dell'ultimo quarto del IV secolo, la parola superstitio ricompare, ma è chiaramente definita come sacrificio e venerazione nei templi: il cristianesimo ormai si è impadronito dell'impero e con esso si afferma l'equivalenza tra superstitio e tutto ciò che non è cristianesimo. A partire dal V secolo l'uso del termine si estende anche all'ebraismo e alle eresie.

Manuela Simeoni

04.09.2011

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