Giorno Pagano Europeo della Memoria

L'ULTIMA LETTERATURA LATINA PAGANA

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Per letteratura pagana latina tardoantica si intende quella produzione in lingua latina, di argomento non cristiano, compresa tra il III e il V secolo e.v. La definizione di letteratura pagana nasce sostanzialmente per contrapposizione alla neonata letteratura cristiana, che viene alla luce proprio nel III secolo, quando perciò è necessario marcare la differenza. Non bisogna però farsi ingannare dalla definizione di "pagana", etichetta apposta proprio per contrasto, ad indicare tutta la letteratura non cristiana: infatti, mentre la letteratura cristiana è una letteratura di argomento strettamente religioso, la cosiddetta letteratura pagana non lo è, anche se alcune opere riprendono temi mitologici o trattano argomenti religiosi, per lo più con la chiave di lettura del neoplatonismo diffuso tra le classi colte, ma che non rispecchia la visione originaria del mondo della religione romana. La letteratura pagana comprende ogni genere di produzione, dalla storiografia alle epistole, dalle opere di intrattenimento ai trattati scientifici o manuali di grammatica (in cui oggi si vedrebbe ben poco di pagano in senso stretto). Il periodo tardoantico è generalmente poco noto e poco studiato: quando si parla di letteratura latina si pensa immediatamente ai grandi autori del periodo tardo repubblicano o augusteo, che tutti, anche chi non ha fatto un liceo, hanno probabilmente sentito nominare a scuola (o magari come "titolari" di una scuola): Cicerone, Orazio, Virgilio, Tito Livio. Ma anche i programmi scolastici contemplano poco la fase che segna il passaggio dall’ultima produzione letteraria pagana al trionfo di quella cristiana, parallelamente all’affermarsi di quest’ultima. Forse complice anche l’avvicinarsi, in genere, della fine del corso o dell’anno scolastico, ci si limita a trattare qualche apologista e qualcosa di Agostino, senza approfondire quelli che sono gli ultimi residui della produzione di stampo pagano.

In realtà, anche se gli autori che caratterizzano quest’ultima fase della letteratura latina non sono (forse) a livello di quelli che li hanno preceduti, le tendenze della produzione letteraria di questo periodo sono interessanti per conoscere la mentalità e probabilmente desideri e timori con cui gli ultimi pagani affrontavano questo passaggio. Quattro sono le caratteristiche principali della letteratura pagana tardoantica, che a posteriori appaiono come presentimento della fine imminente. Innanzitutto c’è, più o meno spiccato, il richiamo agli autori soprattutto dell’età augustea, che diventa più o meno pedante a seconda dei periodi ed è caratterizzato dalla nostalgia verso un passato spesso mitizzato; quindi il desiderio di rifuggire dalle preoccupazioni quotidiane, che si traduce spesso in rifugio nell’erudizione, nello sfoggio di cultura e sapere. Sfoggio che rivela anche la volontà di raccogliere e tramandare il sapere antico, appunto come se si presentisse la possibilità che tale sapere venga cancellato per sempre: ne nascono trattati (anche questi spesso compendi di trattati precedenti) oppure opere enciclopediche che raccolgono i materiali più svariati.

Indice dei contenuti

III secolo: l'evasione dalla crisi

IV secolo: l'ultima rinascita

La fine

 

III secolo: l'evasione dalla crisi

Come già detto, la letteratura pagana tardoantica viene fatta cominciare, per convenzione, dal III secolo, parallelamente alla nascita della letteratura cristiana. Il III secolo si apre con un periodo critico che segue la morte dell’ultimo degli imperatori Antonini, caratterizzato dal rapido avvicendarsi degli imperatori, scelti di volta in volta dal senato, dalle truppe stanziate in varie parti dell’impero o dai pretoriani. L’affermarsi della dinastia dei Severi, iniziata da Settimio Severo, capo delle truppe di stanza sul confine danubiano, portò un breve periodo di tregua fino al 235, quando morì l’ultimo dei Severi; seguì poi un periodo di anarchia militare, sempre caratterizzato dal susseguirsi di imperatori nominati dagli eserciti, i quali, data anche la difficile situazione sui confini sia del Reno che con la Persia, andavano acquisendo sempre più potere. In una situazione così difficile, anche la produzione letteraria non poteva essere fiorente: è vero che nel III secolo vennero elaborate le teorie neoplatoniche (le quali appartengono piuttosto alla letteratura greca, essendo scritte in tale lingua, che a quella latina, sebbene Plotino insegnasse a Roma) e che gli imperatori da Settimio Severo in poi tentarono in qualche modo di continuare la tradizione dei principi-autori, ma le opere più importanti del periodo sono di argomento giuridico. Non occorre spiegare la relazione tra questo tipo di produzione e una situazione in cui praticamente chiunque poteva essere acclamato imperatore dalle proprie truppe, con il risultato di avere due, tre, quattro imperatori contemporaneamente.

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Letteratura d'evasione

La produzione letteraria vera e propria è caratterizzata invece dalla tendenza alle opere di evasione e di svago. E’ chiaro che i cittadini romani, ovvero tutti gli abitanti dell’impero, dopo l’editto di Caracalla del 212, ormai non più cittadini, ma poco più che sudditi, andavano cercando una via di fuga dalla difficoltà della situazione; questo stesso desiderio ha probabilmente facilitato la diffusione del cristianesimo, che si proponeva come portatore di "speranza" in un aldilà migliore: l’adesione alla nuova religione fu infatti più ampia nelle classi sociali più basse, ossia tra coloro che non avevano o non vedevano altra evasione della "salvezza" offerta da questo culto salvifico. A conferma di ciò basti pensare all’idea del paradiso che era largamente diffusa nel medioevo: il paese di bengodi, con fiumi di vino e monti di formaggio.

Chi invece ha più mezzi e più conoscenza, finisce per cercare letteratura di evasione: la produzione letteraria del III secolo è prevalentemente poetica e tratta argomenti leggeri, anche se non mancano i trattati, pure in versi, su argomenti più eruditi, come le opere grammaticali di Terenziano Mauro o il Liber medicinalis di Sereno Sammonico, di ricette mediche in esametri, tratte per lo più dalla Naturalis historia di Plinio il Vecchio. Si tende inoltre, sempre a causa della situazione storica in atto, a guardare ad un passato considerato una sorta di età dell’oro, vale a dire il periodo augusteo in cui fiorì, a detta degli stessi romani, la letteratura latina. Perciò si avverte spesso una certa inclinazione al manierismo, l’imitazione (oggi diremmo in molti casi plagio) di modelli antichi che diviene variazione virtuosistica su di essi, o ripresa pedante dei loro versi. Particolarmente evidente è il caso dei centoni virgiliani. La parola centone deriva dal latino cento che indicava una coperta o una veste fatta con ritagli di panni usati; così sono questi componimenti, un patchwork di versi virgiliani che vengono assemblati in una sorta di "taglia e incolla" che rende i versi talvolta goffi. Anche la letteratura cristiana riprenderà l’uso del centone, riadattando i versi virgiliani alle narrazioni dei vangeli di Matteo (Giovenco) o della Genesi (Proba). Non bisogna comunque esagerare la portata di queste imitazioni: si tratta per lo più di esercizi scolastici, in cui Virgilio viene utilizzato perché considerato rappresentante massimo del classicismo e raramente, come nella tragedia Medea di Osidio Geta, costituiscono un fatto letterario vero e proprio. Ma è altrettanto vero che anche il resto della produzione del III secolo rimane nel solco della tradizione, riprendendo propositi, temi ed espressioni dai modelli classici e per questo alcune opere sono dette "pseudocentoni", dal momento che non riprendono i versi esatti come i centoni propriamente detti, ma si impegnano nella costante imitazione dei modelli. Pseudocentoni sono detti ad esempio i Cynegetica, componimento sulla caccia in versi, ad opera di Marco Aurelio Olimpio Nemesiano che scrive nella seconda metà del III secolo, a causa dell’imitazione costante di Ovidio, Calpurnio Siculo e Virgilio; in particolare dalle Georgiche di quest’ultimo riprende la forma bucolica e didascalica e il proposito, che Virgilio esprimeva nel III libro delle Georgiche, di celebrare in un prossimo futuro le imprese degli imperatori. Il tema bucolico è uno dei più amati del periodo perché ripropone il topos del locus amoenus, un luogo felice, l’Arcadia mitica dove dedicarsi all’amore e alle tenzoni tra pastori. Il tema della tenzone è anche ripreso in chiave parodistica, con il Iudicium coci et pistoris iudice Vulcano (Disputa tra un cuoco e un pasticcere con Vulcano come giudice) di un certo Vespa, che nonostante l’intento scherzoso contiene molti richiami alle Bucoliche di Virgilio. Un tentativo di rinnovamento dei vecchi modelli è attuato da Pentadio, con i suoi distici "ecoici", così detti perché la metà del primo verso del distico è uguale alla seconda metà del secondo.

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Il ritorno dei miti

Ma riaffiora anche il mito, sebbene in versione di epillio: tale è il De concubitu Martis et Veneris (Sull’incontro amoroso di Marte e Venere) di Reposiano, che riprende, come previsto dai canoni del genere, un episodio mitologico di secondaria importanza, in questo caso presente nel libro VIII dell’Odissea; lo ambienta però in un bosco, che si rifà al già citato topos del locus amoenus, attraverso il quale Reposiano si riallaccia sia ai poeti bucolici, sia a Lucrezio. L’opera di Reposiano è datata tra la fine del III e l’inizio del IV secolo, in base ad alcune particolarità della lingua e dello stile, nonostante l’opera sia di impostazione classica. Con gli stessi criteri viene datato, e allo stesso periodo, quello che può essere considerato il capolavoro poetico del secolo, il Pervigilium Veneris (La veglia di Venere), forse il carme più studiato di tutti quelli raccolti nell’Antologia Latina, compilata tra V e VI secolo e comprendente molti dei testi già citati.

Il Pervigilium Veneris è un componimento anonimo di 93 versi divisi in dieci strofe di diseguale lunghezza intervallate da un ritornello. Il metro usato è il settenario trocaico, che è molto vicino al ritmo della lingua parlata; anche se si presenta come un inno da cantare durante la vigilia della festa della dea a Ibla (Sicilia) e perciò con un certo carattere popolare, dovuto anche al tipo di metro, si tratta in realtà di un componimento studiato per sembrare semplice e spontaneo. Sono infatti frequenti i riferimenti e le citazioni da Virgilio, da Catullo e da Lucrezio. Insomma l’autore, chiunque egli fosse, intendeva riecheggiare la poesia popolare tramite il verso, le ripetizioni e il ritornello, ma compone in realtà un’opera dotta e molto curata, probabilmente mai usata nel culto della dea, anche ammettendo che fosse stato scritto per una festa reale e non per un’occasione immaginaria.

Alcune opere del III secolo entrano a far parte delle letture medievali: una è la raccolta dei Disticha Catonis, i distici attribuiti a Catone il Censore e contenenti massime moraleggianti ispirate ad una filosofia spicciola.

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Prosa: tra enciclopedismo ed evasione

La prosa invece tende a mostrare già uno dei tratti caratteristici della produzione del secolo successivo, la tendenza alla compilazione di raccolte di vario tipo, l’enciclopedismo. Anche questa può essere considerato un modo di rifuggire da una realtà negativa, ma è anche il sintomo di una necessità di conservare le conoscenze presenti, necessità nel segno della quale si chiuderà poi la letteratura del V secolo, di cui parleremo tra poco. In questo filone si collocano sia i Collectanea rerum memorabilium (Miscellanea di cose memorabili) di Gaio Giulio Solino, un’opera compendiaria di argomento storico, geografico, etnologico, naturalistico, che attinge da varie fonti antiche, soprattutto da Plinio il Vecchio, sia il Liber memorialis (Libro memoriale) di Lucio Ampelio, una compilazione di notizie storiche, mitologiche, astrologiche forse ad uso scolastico. Compaiono anche compendi e commenti di opere (anche se in realtà i commenti agli autori classici erano già diffusi, ma quelli del III secolo hanno la caratteristica di riprendere commenti precedenti): Sesto Pompeo Festo compose un compendio del De verborum significatu (Sul significato delle parole) e Pomponio Porfirione attinge, per il suo commento ad Orazio, al commento, oggi perduto, di Elenio Acrone. Non bisogna pensare che il bisogno di evasione e di letture "leggere" si risolvesse, per quanto riguarda la prosa, esclusivamente nelle opere erudite o nei compendi: vale la pena di citare il Testamentum Grunni Corocottae Porcelli (Testamento di Grugno Corocotta Porcello), che anche il cristiano Girolamo, l’autore della vulgata, nomina, aggiungendo che provocava grandi risate tra gli scolari, che è il testamento di un maiale sul punto di essere macellato e che ricalca con grande precisione il linguaggio giuridico dei testamenti solenni.

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IV secolo: l'ultima rinascita

Ancora l’erudizione è protagonista della letteratura pagana del IV secolo. Ma il IV secolo vede una situazione decisamente diversa rispetto al secolo precedente: esso è innanzitutto il secolo dell’affermazione del cristianesimo, che, dall’Editto di Milano di Costantino (313) agli editti di Tessalonica (380) e Milano (391) di Teodosio, spazza via il paganesimo dalla scena politica. Proprio in questo secolo hanno luogo i tentativi di rinascita della cultura pagana, anche se la loro portata, fatta eccezione per il breve seppur incisivo tentativo dell’imperatore Giuliano, rimane limitata, dato lo scarso ruolo politico delle istituzioni tradizionali che avevano conservato la tradizione pagana. Il senato romano stesso, guidato da Simmaco nella rivendicazione della liceità del culto all’altare della Vittoria che Graziano tolse al Senato, aveva in definitiva meno potere e meno influenza del vescovo di Ambrogio a Milano.

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Le scuole

L’impulso principale alla rinascita della letteratura pagana viene dalle scuole, dove le letture sono ancora Virgilio, Terenzio, Cicerone e Sallustio, autori classici sui quali si formano anche i cristiani e sono ancora pochi i casi di integralismo che vorrebbe sostituire ad essi lo studio esclusivo delle scritture e della patristica. Le scuole sono oggetto anche di un’attenta politica da parte degli imperatori del IV secolo, che valorizzano il ruolo sociale degli insegnanti con agevolazioni, esenzioni fiscali e cattedre finanziate pubblicamente. Dalla scuola uscirono anche molti personaggi politici, che avevano cominciato come retori e insegnanti; il ruolo fondamentale dell’istruzione doveva essere chiaro anche a Giuliano, che nel 362 vietò ai cristiani l’accesso all’insegnamento, per l’incompatibilità della loro religione con il patrimonio ideologico che avrebbero dovuto illustrare agli allievi attraverso la spiegazione dei testi classici. Quindi è dall’ambito scolastico che derivano le numerose opere di questo secolo, come già detto di carattere erudito, che mirano a raccogliere, sistemare e tramandare il patrimonio di conoscenze degli antichi, quasi che, nonostante i tentativi di rinascita della cultura pagana, si presagisse già la fine e si puntasse soprattutto a minimizzare le eventuali perdite future. Si allestiscono quindi nuove edizioni dei testi antichi, a cura di grammatici di professione, politici e letterati, come Vettio Agorio Pretestato, che dedicava alle riedizioni dei classici buona parte del tempo libero dagli impegni politici. E’ grazie a questo lavoro che ci arrivano gran parte dei testi classici, copiati tra IV e V secolo. Elio Donato invece, professore di grammatica a Roma e insegnante anche di Gerolamo (il santo cristiano, autore della vulgata), oltre al commento a Terenzio, nel quale fa riferimento ai modelli greci del tragediografo, oggi perduti, e quello a Virgilio, che come il precedente ci è giunto mutilo (pare attraverso il commento di un altro grammatico, Servio, che lavorò tra IV e V secolo), scrisse due fondamentali trattati di grammatica latina, l’Ars minor, che illustra la grammatica attraverso domande e risposte, e il più articolato Ars maior. I trattati grammaticali del periodo hanno l’importante merito di conservare, attraverso gli esempi, innumerevoli frammenti di autori più antichi, altrimenti perduti: così è per i trattati di Mario Vittorino, Diomede, Carisio e soprattutto Nonio Marcello, che cita moltissimi frammenti di autori arcaici come Nevio, Ennio, Pacuvio, Accio, Lucilio. Anche la produzione tecnico-scientifica, sempre sotto forma di compilazioni è abbondante: Flavio Vegezio Renato scrisse una Mulomedicina, trattato di veterinaria e un’Epitoma rei militaris, sull’arte della guerra, trattata anche nell’anonimo De rebus bellicis che estende la sua analisi ai problemi politici ed economici, proponendo riforme, e illustra una serie di fantasiose macchine da guerra. Sull’agricoltura è invece l’Opus agricolturae di Palladio Rutilio Tauro Emiliano, che, imitando Columella, scrive in versi l’ultimo libro, quello dedicato agli innesti. Da segnalare anche i Matheseos Libri, trattato in 8 libri scritto da Giulio Firmico Materno nel 337 sull’astrologia, il più completo che possediamo dopo quello di Manilio, non tanto per l’opera in sé o per la visione neoplatonica del mondo che esprime quanto per la violenza con cui in seguito l’autore si scaglierà contro il paganesimo, incitando gli imperatori alla repressione violenta degli antichi culti.

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La rinascita della poesia

Anche la poesia conosce una rinascita; appartiene a questo secolo Tiberiano, al quale alcuni hanno voluto attribuire il Pervigilium Veneris; di lui sopravvivono quattro carmi e alcuni frammenti. Un carme è di impronta neoplatonica e uno si ricollega al filone idillico-campestre tipico della poesia tardoantica ed è la descrizione di un fiume. Più originale Optaziano Porfirio, senatore pagano condannato all’esilio da Costantino nel 322 e graziato nel 325 perché convertitosi e divenuto autore di lodi a Costantino e alle sue gesta. La novità della sua poesia non sta tanto nei contenuti, quanto nella disposizione del testo a formare una figura, da leggere in orizzontale, verticale o trasversale. I suoi carmi figurati, come vengono dette queste composizioni, erano copiati su pergamena purpurea con inchiostri rossi, d’oro o d’argento. Oltre alla poesia "gioco" dei carmi figurati, sono trasposti in versi anche epilli (l’opera anonima detta Alcesti di Barcellona dal luogo in cui era conservato il codice papiraceo, che riporta appunto il mito di Alcesti già trattato da Euripide) e opere di saggistica: Rufio Festo Avieno, della cerchia di Simmaco, traduce in latino e in versi i Fenoneni di Arato (già tradotti in precedenza da altri) e scrive una Descriptio orbis terrae (Descrizione della terra) e un’Ora maritima (Il litorale marittimo), mentre Aviano riscrisse in distici 42 favole esopiche, ottenendo grande successo in età medievale.

Il poeta considerato più rappresentativo del IV secolo è Decimo Magno Ausonio (310-394) retore e insegnante prima di diventare precettore del futuro imperatore Graziano. Ausonio si convertì al cristianesimo, come dimostrano i suoi Versus Paschales, ma probabilmente lo fece per opportunismo e per facilitarsi la carriera politica, tanto che il resto della sua produzione viene classificato da molti critici tra la letteratura pagana: provenendo dal mondo scolastico si era certamente formato in mezzo ai classici. Le sue numerose opere sono raccolte sotto il titolo di Opuscula: in esse ostenta la sua erudizione e raffinata formazione da retore con allusioni, riferimenti, citazioni e l’impiego dei metri più disparati. Come altri autori della stessa epoca, lascia fuori dalle sue opere i problemi storico-politici del suo tempo per rifugiarsi nella tradizione letteraria. La sua opera più celebre è la Mosella, in cui descrive il proprio viaggio verso Treviri e il fiume di cui celebra limpidezza delle acque e bellezza del paesaggio, ma che è soprattutto di un esercizio letterario pieno di citazioni e reminiscenze dei classici, primo fra tutti Virgilio. Esercizio letterario è il Cento nuptialis, che utilizza la tecnica del centone in maniera tale da descrivere, attraverso i versi del pudico poeta mantovano che a Napoli era soprannominato "Verginello", la prima notte di nozze in termini abbastanza scurrili. Rientrano sempre nella categoria dei giochi letterari il Griphus ternarii numeri (L’enigma del numero tre), con variazioni sull’impiego di tale numero, e il Technopaegnion (Scherzo d’arte) in cui tutti i versi terminano con un monosillabo, ripreso talvolta all’inizio del verso successivo. Ausonio si cimenta anche nel genere encomiastico, non solo degli imperatori, ma di parenti defunti (Parentalia) o di città (Ordo urbium nobilium, Serie di città illustri), o dei professori di Bordeaux, colleghi o allievi del poeta (Commemoratio professorum Burdigalensium). Negli epigrammi alterna versi latini a versi greci, oppure scrive alcuni componimenti interamente in greco; anche questi sono però esercizi scolastici e la cosa è evidente in particolar modo negli Epitaphia, dedicati agli eroi di Troia, un tipico esercizio delle scuole dell’epoca. Ci giungono incompleti il ciclo dedicato a Bissula, la schiava germanica donatagli da Valentiniano e poi liberata dal poeta, e il ciclo detto Ephemeris, ovvero "diario". Di Ausonio restano inoltre le lettere, tutte in versi eccetto quella rivolta a Simmaco; neppure qui troviamo cenno alle preoccupazioni dell’epoca, ma l’autore si preoccupa piuttosto di spiegare la propria visione della vita, che colloca al centro la cultura e l’amicizia.

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Quinto Aurelio Simmaco

Protagonista invece della rinascita culturale pagana del IV secolo è Quinto Aurelio Simmaco: con lui rinascono i generi dell’oratoria e dell’epistolografia. Simmaco è il maggiore esponente dell’aristocrazia senatoria rimasta attaccata alle vecchie tradizioni incluso il paganesimo e queste difende nella questione dell’altare della Vittoria. Graziano, primo imperatore che, sotto l’influenza del vescovo Ambrogio di Milano, aveva rifiutato il tradizionale titolo di pontefice massimo, aveva fatto rimuovere dal senato l’altare e la statua della dea Vittoria (oltre a confiscare beni e rendite dei sacerdoti pagani), che i senatori consideravano simbolo del legame dello stato con gli antichi culti, rifiutandosi persino di ricevere la delegazione guidata da Simmaco che chiedeva la revoca del provvedimento. La relatio scritta da Simmaco, pervenutaci integra in un corpus di 49 relationes, è un’appassionata difesa della tradizione, che mette in guardia contro i pericoli insiti nell’abbandono delle antiche consuetudini ma introduce anche il principio del relativismo religioso e della legittimità di culti differenti, dando un’interpretazione neoplatonica della religione pagana: secondo quanto scritto, Simmaco crede nell’esistenza di un unico principio divino, per giungere al quale non ritiene possibile ci sia un’unica via.

Oltre alla relatio, conserviamo di Simmaco otto orazioni incomplete, giudicate notevoli dai contemporanei, tra cui panegirici e discorsi di ringraziamento. L’encomio è la forma principale dell’oratoria di età imperiale, dal momento che gli spazi politici e quindi gli spazi per l’oratoria si riducono con il nuovo regime. I panegirici considerati migliori vennero raccolti nei Panegyrici Latini, tra IV e V secolo, assieme al panegirico a Traiano di Plinio il Giovane, anteposto a tutti gli altri perché ne costituisse il modello. Gli autori, in genere insegnanti di retorica, seguono lo schema classico dell’encomio imitando Plinio e Cicerone, impiegando toni iperbolici e senza sfiorare mai l’argomento religioso, per potersi rivolgere indifferentemente a pagani e cristiani. Sempre di Simmaco ci rimane l’epistolario, imitazione del modello costituito da Plinio il Giovane e applicazione degli schemi retorici. Come dalle epistole di Ausonio, sono assenti i riferimenti alla realtà politica, ma Simmaco esprime la propria consapevolezza di ciò nell’epistola 35 del II libro (in tutto dieci libri): "Fino a quando blatereremo di saluti da dare e da restituire, non essendoci altri argomenti da mettere per iscritto? Una volta gli antenati scrivevano nelle lettere private anche gli affari della patria, che ora sono meschini o inesistenti". Lo stile delle epistole è ricercato e prezioso pur fingendo la spontaneità colloquiale, con richiami e allusioni frequenti ai classici: proprio questo costante riferimento ai modelli segna lo svuotamento del genere letterario (cosa che accade a diversi generi, che finiscono per seguire la crisi della cultura pagana che li aveva generati) in favore di un’impostazione manieristica.

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Storiografia

Sempre nel IV secolo, anche la storiografia conosce una breve rinascita: fino a questo momento, la storia si era rifugiata nella biografia oppure nella concezione di opere-prontuario, con scopi pratici di informazione e divulgazione. Ammiano Marcellino invece intende, con le sue Rerum gestarum libri (libri delle imprese), presentarsi come continuatore di Tacito, a partire dalla scelta del periodo da trattare, dal principato di Nerva (96 e.v., cioè dalla fine dell’opera di Tacito) alla morte di Valente avvenuta nel 378 e.v. La trattazione dei diversi periodi, almeno per quanto ci è possibile osservare dai libri superstiti, gli ultimi diciotto su trentuno totali, è asimmetrica, con maggior spazio dedicato agli avvenimenti più recenti. La concezione storica di Ammiano riprende quella di Cicerone come applicata da Sallustio, Livio e Tacito: la storiografia deve avere come oggetto avvenimenti importanti, da narrarsi in forma adeguata e secondo i principi di verità e imparzialità. Ammiano poi pone in evidenza il principio dell’autopsia, ovvero l’esperienza personale dei fatti raccontati o l’informazione diretta; rispetta il principio sallustiano della brevitas, il voler riferire gli avvenimenti principali senza diffondersi nei particolari, e si concentra soprattutto sui fatti politici e militari. Fa poco uso dei discorsi diretti che quando presenti sono piuttosto convenzionali, fatta eccezione per le parole di Giuliano morente. Conforme allo stile del IV secolo è l’uso erudito delle digressioni, già presenti nelle opere storiografiche precedenti, ma molto più frequenti nell’opera di Ammiano, a dimostrare il suo interesse verso il sapere e la cultura oltre al desiderio di farne sfoggio. Quanto ai personaggi della sua opera, Ammiano segue anche in questo caso l’impostazione tacitiana e ne affida la caratterizzazione alla descrizione delle loro azioni, che si svolgono principalmente sulla base della paura e del sospetto, due sentimenti che dominano la psicologia dei personaggi. I ritratti degli imperatori sono per lo più negativi, fatta eccezione per Giuliano, che appare come sovrano ideale, anche se vengono criticate la sua "mania" per presagi e sacrifici e la proibizione ai cristiani di insegnare. Sul cristianesimo, ormai religione ufficiale dello stato, esprime giudizi positivi, ma critica invece i suoi seguaci definendoli litigiosi, superstiziosi, intriganti, mentre ha del paganesimo una visione scettica che vede il mondo dominato dal caso e dalla Fortuna e anche la concezione filosofica della religione, vicina a quella di Simmaco, cede alla credenza nei presagi, il cui avverarsi egli rimarca nella sua opera, nella magia, nell’astrologia. Secondo una tendenza già comune dalla prima età imperiale, in Lucano prima di tutti, Ammiano fa un grande impiego di scene macabre e aspetti truculenti.

Ma la maggior parte della storiografia del IV secolo ha un intento puramente didascalico o biografico. Al primo genere appartengono i numerosi riassunti, breviari ed epitomi: vengono compilate le Periochae (riassunti) dell'opera di Tito Livio, da cui Giulio Ossequente trae il Liber prodigiorum (Libro dei prodigi), riassunto selettivo dei prodigi citati, le epitomi dell’opera di Valerio Massimo, il Breviarium ab urbe condita (Breviario dalla fondazione della città) scritto da Eutropio su richiesta dell’imperatore Valente che aveva incaricato anche Rufio Festo (da identificarsi con il poeta Avieno?) di fare un Breviarium analogo, l’Origo gentis romanorum (Origine della stirpe dei romani) che va dalla preistoria alla vittoria di Costantino su Licinio nel 324 e.v. Il genere biografico conosce altrettanta fortuna, a partire dal Liber de Caesaribus (Libro dei Cesari) di Aurelio Vittore che va da Augusto a Costanzo II, scritto in uno stile sostenuto che offre anche un giudizio sugli imperatori invece di limitarsi a raccogliere dati, elogiando quelli più rispettosi del senato e della cultura. Anche qui compaiono delle epitomi, come quella, anonima, dell’opera di Vittore, che poi prosegue con materiale tratto da altre fonti fino alla morte di Teodosio. Assieme a questa epitome sono stati conservati anche una Origo gentis romanae (Origine della stirpe romana), che attraverso le biografie tratta il periodo della preistoria di Roma da Saturno a Romolo, e un De viris illustribus (Sugli uomini illustri), con biografie da Romolo a Cleopatra. Da datarsi tra la fine del IV secolo e l’inizio del V è anche la Historia augusta (Storia degli imperatori), anche se si presenta come una raccolta di biografie stese da sei autori differenti tra il III e il IV secolo. L’opera è quindi retrodatata per darle maggiore autorevolezza ed è probabile che allo stesso scopo risponda l’indicazione di sei autori diversi, quando le biografie appaiono, per uniformità dello stile, del linguaggio e dell’impostazione, opera di uno stesso autore. L’Historia augusta si ricollega alle Vite dei Cesari di Svetonio, ma dipende in molti punti anche dall’opera di Vittore. Non è storicamente attendibile e gli storici moderni vi hanno riscontrato una grande quantità di dati falsi non imputabili soltanto alle fonti, ma anche a falsificazioni intenzionali, soprattutto per quanto riguarda l’inserimento nel testo di documenti presentati come originali. In queste biografie risulta inoltre accentuato il gusto del pettegolezzo e del particolare curioso già presente in Svetonio. Ideologicamente la Historia augusta si presenta come un’opera filosenatoria, che considera buoni governanti tutti coloro che abbiano rispettato il senato e gli interessi dei senatori. Per questo l’autore mostra la sua adesione al paganesimo nello spazio dato ai presagi e nei riferimenti al favore o disfavore degli dei.

Non appartiene esattamente al genere storiografico un altro tipo di produzione del IV secolo, la narrazione storica romanzata o l’applicazione di procedimenti e convenzioni storiografiche alla leggenda in una sorta di gioco, non di storicizzazione del mito. Alessandro Magno è uno dei protagonisti di questa nuova produzione e le sue gesta sono al centro dei "romanzi" Res Gestae Alexandri Macedonis (Le imprese di Alessandro il Macedone) di Giulio Valerio Alessandro Polemio e Itinerarium Alexandri (Il viaggio di Alessandro) giuntoci anonimo e dedicato a Costanzo II.

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La fine

La rinascita del IV secolo non riesce però ad impedire la fine della letteratura pagana nel secolo successivo. Proprio alla fine del IV secolo il paganesimo è stato più volte proibito e i massacri e le distruzioni ai danni dei pagani sono innumerevoli. In questa situazione l’ultima letteratura pagana riprende le caratteristiche che abbiamo messo a fuoco all’inizio di questo articolo e che sono tipiche di tutta la produzione tardoantica. Ritroviamo infatti la ripresa di modelli antichi in Claudio Claudiano, che lo studioso Rostagni ha definito "l’ultimo geniale poeta di Roma, oltreché l’araldo delle ultime glorie, o velleità di gloria, romane" e che introduce, nella produzione prevalentemente encomiastica, che comprende alcuni Panegirici e degli epigrammi non solo celebrativi ma anche descrittivi, la comparazione del personaggio lodato con personaggi del mito, riprendendo schemi, luoghi comuni ed episodi dell’epos. La ripresa non è superficiale, ma influisce sulla struttura dei componimenti. La sua opera principale il De raptu Proserpinae (Il rapimento di Proserpina), incompiuto, riprende un tema mitologico trattandolo con il pathos che ci si aspetta dal genere encomiastico, del quale sono riprese in parte le forme. Più che alla narrazione, Claudiano presta attenzione alla descrizione dei paesaggi (analogamente a quanto fatto negli epigrammi che, cosa strana per il genere, trascurano quasi completamente l’argomento erotico e l’invettiva, per dedicarsi alla descrizione di piccole cose, come una goccia d’acqua chiusa in un cristallo), ai discorsi, ai sentimenti dei personaggi. Forse più narrativo era il poema Gigantomachia, di cui però ci giungono solo 70 versi. Claudiano si dedica anche alla produzione di argomento storico, anche se i suoi De bello Gildonico (La guerra gildonica) e De bello getico (La guerra getica) non sono collocabili nel filone dell’epos storico per le loro dimensioni, la mancanza di un ampio intreccio con il tradizionale apparato mitologico (non dimentichiamo che i personaggi che Claudiano loda sono ormai cristiani, tanto che in un’occasione Claudiano scrive un De salvatore (Il salvatore), inno a cristo, in onore dei suoi protettori cristiani). Anche questi due componimenti sono quindi da considerarsi dei panegirici di Onorio e Stilicone, in cui la narrazione è subordinata all’intento encomiastico e gli episodi militari sono ridotti a pochi versi. Il pessimismo con il quale gli intellettuali dell’epoca guardavano al futuro è evidente nell’esaltazione di Roma che Claudiano fa nel panegirico De consolatu Stilichonis, che, riletta a posteriori, ha un retrogusto amaro, quasi fosse una sorta di elogio funebre, nonostante tutti gli sforzi che i letterati profondevano nell’evitare di prendere coscienza della crisi di Roma. L’elogio di Roma di Claudiano ha molti punti in comune con quello fatto da Claudio Rutilio Namaziano, prefetto di Roma nel 414, autore del De reditu suo (Il proprio ritorno), poema sul suo ritorno da Roma in Gallia. E’ un componimento appartenente al genere degli itinera ma esclude qualsiasi elemento troppo realistico o "basso" e inserisce descrizioni, encomi, invettive. Soprattutto le invettive, rivolte verso i nemici di Roma, tra i quali inserisce anche i Giudei, in base ai luoghi comuni presenti in altri autori precedenti, e i monaci che rifuggono dalle responsabilità del buon cittadino o contro vizi come l’avidità o la disonestà di certi funzionari imperiali. La descrizione dell’abbandono e della devastazione delle città che incontra sul suo cammino è un motivo letterario, ma anche uno spunto per una nostalgica rievocazione di un passato glorioso, che si esprime anche nelle reminiscenze letterarie soprattutto virgiliane. Il viaggio diventa quindi il pretesto per uno sfoggio di erudizione.

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Le ultime raccolte della conoscenza pagana

L’erudizione sta alla base anche dell’enciclopedismo che dà vita a due opere fondamentali non solo per il secolo, ma anche per tutta la cultura tardoantica, essendo le ultime raccolte pagane, e in genere latina, anche medievale. La prima sono i Saturnaliorum convivia (Banchetti dei Saturnali) o Saturnalia di Macrobio Ambrogio Teodosio, che immagina dodici esponenti dell’aristocrazia sociale e culturale romana e pagana (compresi Simmaco, un Avieno forse figlio del poeta omonimo, il grammatico Servio) conversare durante i banchetti che si tenevano durante le feste dei Saturnali. La finzione conviviale serve a Macrobio come pretesto per dissertazioni dotte sugli argomenti più vari, di linguistica, letteratura, antiquaria, medicina, scienze naturali, filosofia (in particolare neoplatonica), astronomia, ma anche argomenti più leggeri. I Saturnalia sono per lo più un’opera di compilazione, come si è detto, con parti trascritte da Plutarco, Seneca e dalle Notti Attiche di Aulo Gellio. Nonostante metta in scena i maggiori esponenti della cultura pagana del secolo precedente, non parla mai esplicitamente del problema religioso, forse per una sorta di vendetta e disprezzo contro qualcosa che non considera degno di essere ricordato, forse seguendo la tendenza all’evasione dai problemi quotidiani tipica della letteratura tardoantica, forse perché il suo scopo è di raccogliere e tramandare la tradizione classica (Vetustas quidem nobis semper, si sapimus, adoranda est, dice, l’antichità, se siamo saggi, deve essere da noi sempre venerata), in particolare Virgilio, che è spesso oggetto delle discussioni che costituiscono l’opera e i cui scritti vengono talvolta interpretati in chiave allegorica e mistica come avviene nella filosofia neoplatonica e come faranno anche i cristiani e per tutto il medioevo. La seconda opera enciclopedica del V secolo, una vera e propria enciclopedia è il De nuptiis Mercurii et Philologiae (Le nozze di Mercurio e Filologia), che segna il passaggio dall’età antica a quella medievale. Scritta parte in prosa e parte in versi, l’opera in nove libri presenta una cornice mitologica ed allegorica, in cui Mercurio, consigliato da Apollo, sceglie come sposa Filologia, figlia di Saggezza, preparata alle nozze dalle Muse, dalle Grazie, dalle Virtù cardinali e dalle sette ancelle donatele da Apollo, le sette arti liberali: Grammatica, Dialettica, Retorica, Geometria, Aritmetica, Astronomia, Musica. All’interno di questa cornice si colloca l’esposizione delle discipline relative a tali arti. La sistemazione del sapere in tal modo si collocherà poi alla base dell’istruzione medievale; qui comincia il medioevo, con l’assorbimento da parte del cristianesimo di quanto poteva essere utile e l’oblio di tutto il resto.

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Manuela Simeoni

Note

Esametro: verso che consiste di sei metri: brevemente, per chi è digiuno delle basi di metrica latina, la poesia latina non fa riferimento al numero delle sillabe come a quella italiana (per cui, ad esempio, chiamiamo endecasillabi i versi della Divina Commedia), ma al metro, che è l’unità di base della metrica e che consiste in più sillabe: comincia con una lunga seguita o da un’altra sillaba lunga o da due sillabe brevi. La quantità dei metri in un verso (e poi il loro tipo e dove cade la pausa) dà il nome al tipo di verso. Top

Distico: complesso di due versi, un esametro e un pentametro. Top

Epillio: componimento poetico che riprende un mito, in genere di argomento amoroso e spesso poco conosciuto, trasponendolo in un numero non eccessivo di versi. Il genere è presente nella letteratura latina fin dall’età classica e rientra in quella tendenza all’erudizione tipica soprattutto della poesia tardoantica. Il nome è un diminutivo della parola greca "epos", cioè racconto epico. Top

Relatio (plur. relationes): in generale, è un rapporto inviato all’imperatore dal prefectus urbis, il magistrato che sovrintendeva alla città di Roma, la quale, vale la pena ricordare, non era più né sede imperiale né capitale amministrativa. Simmaco ricoprì la carica dal 384 al 385. Top

Itinera: genere letterario in cui un poeta trae spunto dalle tappe di un viaggio per digressioni descrittive o narrative, per lo più con intento satirico, ovvero la descrizione di aneddoti divertenti o di soffermarsi su aspetti della vita quotidiana per intrattenere piacevolmente il lettore. Ne fanno parte l’Iter Siculum (Viaggio in Sicilia) di Lucilio e l’Iter Brundisinum (Viaggio a Brindisi) di Orazio. Top

 

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