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IL BOSCO SACRO NELLA RELIGIONE ROMANA: DEFINIZIONE

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Il culto degli alberi e dei boschi è una caratteristica comune a molte se non a tutte le religioni europee precristiane; nelle religioni romano-italiche doveva però avere una rilevanza particolare se troviamo in latino tre parole per indicare il bosco, di cui due legate all’ambito religioso. Poiché il latino rispetto al greco è in genere più ricco di verbi che di sostantivi, l’esistenza di tre parole per un contesto simile indica senz’altro l’importanza attribuita a questo luogo nel contesto religioso romano. Il significato da attribuire a queste tre parole era discusso già dagli autori antichi: è una prova dell’evoluzione sia del linguaggio sia della religione, che a differenza di quelle monoteiste, tende ad essere dinamica.

Cominciamo dalla prima parola, quella che non definisce in sé un luogo sacro, ma che può essere talvolta habitat di qualche dio: silva. Secondo Servio, commentatore di Virgilio che scrive però nel IV-V secolo e.v., silva indica la foresta incolta, fitta e senza ingressi. Senza essere così specifica, la lingua latina predilige questo termine come nome comune per indicare il bosco e non lo utilizza per indicare i boschi sacri, per i quali ha altre parole.

La parola che indica invece obbligatoriamente un contesto sacro è lucus (plurale luci): non esiste un lucus che non sia sacro, ma già gli autori latini avevano diverse opinioni riguardo a cosa significasse esattamente il termine. Dal punto di vista religioso, tra la silva e il lucus si trova il nemus (plurale nemora), che è la terza parola che indica il bosco. Bosco sacro? Sì, anche perché ha la stessa radice della parola celtica nemeton, che indica un luogo sacro ma allora che differenza c’è con il lucus?

Secondo Servio, che abbiamo nominato nei paragrafi precedenti, il lucus è un insieme di alberi dotato di carattere sacro, mentre il nemus sarebbe un insieme di alberi ordinati, piantato dall’uomo. Tra gli autori moderni lo segue Pierre Grimal che distingue il lucus, che sarebbe il bosco sacro italico, selvaggio, dal nemus, il bosco sacro di tipo greco, umanizzato. Questo però contraddice alcuni autori più vicini alla religione romana: uno tra tutto Orazio che definisce Diana signora dei monti e dei boschi, usando la parola nemus: com’è possibile che Diana sia la dea dei boschi piantati dall’uomo? Catone ci parla invece di un lucus che sarebbe stato dedicato a Diana all’interno del nemus di Ariccia. In altri autori si parla di lucus collocato all’interno di una silva: un bosco in un bosco?

In realtà, come ormai è chiaro da questi esempi, il lucus è un bosco solo in epoca molto tarda; alcuni luci ospitavano in tempi molto antichi assemblee federali, un po’ scomode da tenere tra gli alberi incolti! Il lucus è in realtà una radura, che può essere anche creata dall’uomo come spiega Catone nel De agri cultura, se gli alberi vengono tagliati con i dovuti riti, ma che è sacra di per sé, quasi come un luogo di contatto tra l’uomo e il divino che abita nel bosco, che si tratti di un nemus o di una silva. Fu probabilmente con la restrizione dei luoghi incolti dovuta all’espansione dell’agricoltura e dell’urbanizzazione che la parola lucus passò ad indicare il bosco; il nemus invece è un bosco che ha carattere sacro perché sorge in terreni sacri o perché viene consacrato, come un tempio.

Paragonando il sistema nemus-lucus al tempio, il nemus è la sua cella, il luogo riservato alla divinità che lo abita, il lucus il luogo in cui sono ammessi anche gli uomini.

Per approfondire

Manuela Simeoni

 

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