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LE PERSECUZIONI DI ALESSANDRIA

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Nella tarda antichità, vale a dire nel periodo che va dal IV al V-VI secolo circa e che vede, tra le altre cose, l’affermarsi del cristianesimo, Alessandria fu teatro di numerose persecuzioni contro i pagani. Fu proprio di fronte alle persecuzioni che i "pagani" cominciarono a prendere coscienza di sé come tali, distinti dai cristiani seppure divisi in diversi culti, e che la città di Alessandria divenne simbolo della nascente coscienza pagana. La vicenda di Ipazia, resa nota al grande pubblico dal film Agorà, ma ritenuta significativa già dall’epoca di Voltaire, è solo uno dei numerosi eventi tragici che hanno costellato la storia religiosa di Alessandria del periodo.

Alessandria fu fondata nel 331 a.e.v. da Alessandro Magno e fin dall’inizio era stata pensata come centro commerciale; nel IV secolo era diventata uno dei centri commerciali e culturali maggiori dell’impero romano. Era quindi una città ricca, che metteva a contatto culture diverse, e perciò controllarla sia culturalmente che politicamente era importante. Alessandria non era una città egizia vera e propria, ma come talvolta sono i nuovi venuti a mantenere una tradizione, così Alessandria divenne uno dei centri se non il centro di un movimento nazionalista egiziano, che volle in parte riallacciarsi al paganesimo. Nel periodo tardoantico c’erano in città tre comunità religiose molto attive: quella pagana, ovviamente composita, quella cristiana, che poi darà vita al cristianesimo copto, e quella ebrea. Alessandria era già famosa per il museo, la biblioteca e il Serapeo, il tempio di Serapide; in questi secoli divenne sede di un insegnamento di filosofia, anche se non di una scuola vera e propria, legato all’accademia neoplatonica ad Atene. Il fatto che fosse una città così importante e che ricadesse sotto l’impero romano d’oriente, quello in cui la repressione del paganesimo fu più forte, causò violenti scontri per l’affermazione del cristianesimo. I vescovi di Alessandria si distinsero proprio per questa ferocia, talvolta mettendo in difficoltà l’imperatore stesso, perché dotatisi di milizie proprie, che persino l’imperatore considerava minacciose.

Già verso la metà del IV secolo cominciarono i massacri: Giorgio, vescovo ariano di Alessandria, mandò in esilio il medico-filosofo Zenone, organizzò processioni in cui si deridevano i culti pagani, fece distruggere un altare forse dedicato a Giunone Moneta e alla fine mandò l’esercito contro il Serapeo. In quell’occasione si avvalse di un comandante dell’esercito, Artemio, che era violentemente antipagano ed aveva affiancato Costanzo nelle sue opere di repressione (era anche stato incaricato di portare le reliquie di Andrea e Luca a Costantinopoli). L’attacco al paganesimo, inaspettato, provocò una forte identificazione dei non cristiani e non ebrei nella religione pagana: è dagli attacchi che i pagani, dovendosi distinguere dai loro aggressori, si riconobbero in una religione unitaria, che pure unitaria non era. Il Serapeo divenne così un simbolo fondamentale della religione pagana nella città di Alessandria. Dopo l’assalto al Serapeo e conseguente reazione, il vescovo dovette ricorrere all’aiuto dell’esercito in maniera costante, per scampare a diversi attentati e mantenere il proprio potere; quando arrivò la notizia che Giuliano era divenuto l’unico imperatore, i pagani scatenarono una rivolta in città, fecero a pezzi Giorgio che nel frattempo era stato rinchiuso in prigione per essere spedito sotto processo a Costantinopoli e la città fu devastata per qualche giorno. L’imperatore Giuliano si limitò ad inviare una lettera agli abitanti di Alessandria, in cui, pur condannando la violenza, additava anche Giorgio come nemico degli dei e si richiamava al dio Serapide, protettore della città, che era connesso anche al rispetto delle leggi. Artemio, il comandante esecutore materiale dell’assalto al Serapeo, fu invece condannato a morte.

Seguì, per qualche anno, una tregua, ma breve: nel 380 Teodosio cominciò a fare del cristianesimo la religione di stato e Alessandria divenne un centro di difesa dell’ortodossia come stabilita al concilio di Nicea. Nell’editto di Teodosio si nominano, come difensori della religione cristiana accanto all’imperatore, il pontefice di Roma e il vescovo di Alessandria, che prese così il sopravvento sui vescovi orientali, al punto tale che l’anno successivo un concilio stabilì di limitarne l’influenza all’Egitto, elevandolo al rango di metropolita. Il vescovo di Alessandria governava l’ampia diocesi d’Egitto, che comprendeva cinque province oltre a quella d’Egitto: la Pentapoli, la Libia, la Tebaide, l’Augustianica e l’Arcadia.

Alessandria divenne un’attrazione per i pagani, in particolar modo i neoplatonici che nell’insegnamento della filosofia in città ritrovavamo quello della loro accademia ad Atene. Negli anni dell’editto teodosiano nei dintorni di Alessandria si stabilì il pagano Antonino, che predisse che dopo di lui il Serapeo non sarebbe più esistito; più o meno in questo periodo, il paganesimo soprattutto neoplatonico si arricchisce di profezie e miracoli (o meglio: il neoplatonismo del secolo successivo spesso attribuisce a personaggi pagani di questo periodo miracoli e profezie).

Verso il 384, l’imperatore inviò ad Alessandria un prefetto fanatico cristiano, di nome Materno Cinegio, con l’incarico di cancellare il paganesimo. Cinegio si alleò con il nuovo vescovo, Teofilo, nemico non solo del paganesimo, ma anche dell’origenismo, che era la corrente cristiana più affine al platonismo. Teofilo riprese la politica di pubblica umiliazione dei luoghi e degli oggetti sacri dei pagani già attuata da Giorgio; mentre l’imperatore Teodosio, anche per rafforzare la sua alleanza con il vescovo di Milano Ambrogio, continuò a pubblicare editti che proibivano la frequentazione di templi e ogni genere di pratica pagana. Teodosio ordinò a Teofilo di distruggere i templi pagani, cosa che il vescovo fece con molto impegno: trasformò il tempio di Dioniso in una chiesa, distrusse il tempio di Serapide a Canopo, trasformò il tempio di Iside a Menuthis in una chiesa dedicata agli evangelisti (ma il suo successore, Cirillo, ebbe ancora a che fare con il culto della dea) e infine attaccò il Serapeo di Alessandria con le bande di monaci guerrieri. I pagani si asserragliarono nel tempio guidati dal sacerdote Olimpio e per sedare la rivolta dovette intervenire l’imperatore, il quale lasciò andare impuniti i pagani, ma ordinò di distruggere il tempio. Olimpio fuggì in Italia e così fecero il poeta Claudiano, il sacerdote di Zeus Elladio e quello di Thoth Ammonio (questi ultimi due andarono a Costantinopoli e vi divennero maestri di grammatica: sotto questa veste li conobbe Socrate Scolastico che è una delle fonti della storia delle persecuzioni di Alessandria e dell’uccisione di Ipazia).

La distruzione del Serapeo è del 391; a questa segue comunque un periodo di violenze e rivolte, che continuano sotto il successore di Teofilo, Cirillo. Siamo ormai all’inizio del V secolo: l’uccisione di Ipazia è del 415 e ricade sotto Cirillo, santo per la chiesa. Cirillo unì alle persecuzioni violente la speculazione teologica: le sue opere sono alla base del dogma che vede Maria madre di dio, contestò l’opera di Giuliano contro i Cristiani (è grazie alla sua confutazione che ne abbiamo dei frammenti) e cercò di sovrapporre il culto del martire Ciro alle sopravvivenze del culto di Iside a Menuthis. Di questo martire si sa poco o nulla e forse Cirillo lo scelse o lo inventò perché il suo nome suonava abbastanza vicino a Kyra, appellativo di Iside a Menuthis; alle reliquie, trasportate a Menuthis, fu attribuito potere taumaturgico: anche il culto di Iside in quel luogo era un culto di guarigione ed infatti molte delle pratiche, come l’incubatio, furono mantenute.

Se da un lato la morte di Ipazia spinse i pagani a mantenere un basso profilo, i fatti sanguinosi di Alessandria fecero della città un simbolo. Soprattutto i neoplatonici non si diedero per vinti, ma cercarono invece di sfruttare i contatti e la loro appartenenza, spesso, all’aristocrazia, per tentare di riportare in auge il paganesimo: Severiano, ad esempio, che era stato maestro di retorica di Giuliano, accettò la proposta dell’imperatore Zenone, che gli chiese la conversione in cambio della carica di prefetto d’Oriente, ma poi complottò contro l’imperatore per la restaurazione del paganesimo. Il complotto non riuscì perché uno dei congiurati tradì Severiano. L’impegno "politico" per il ripristino del paganesimo divenne una caratteristica dei filosofi neoplatonici del V secolo, come Hierocle, che proprio ad Alessandria si recò per cercare di aprire una scuola e crescere una generazione di pagani impegnati: finì poi esiliato e condannato a morte a Costantinopoli.

Altri tentativi con finali tragici furono fatti verso la fine del V secolo: nel 482 arrivò ad Alessandria Pamprepio, sostenitore di un altro tentativo di restaurazione del paganesimo per via politica tramite Illus, uomo di fiducia dell’imperatore Zenone, che diede vita ad una rivolta, nel corso della quale lo stesso Illus, prima di essere sconfitto, uccise Pamprepio. In seguito alla rivolta vi fu un’ennesima ondata di persecuzioni, questa volta da parte di Nicomede, funzionario imperiale inviato ad Alessandria con l’ordine di eliminare i circoli pagani. Nicomede fece arrestare e torturare diversi filosofi e con l’appoggio del vescovo di Alessandria Pietro Mongo (anche questo un santo, questa volta della chiesa copta) tollerò gli assalti di folle cristiane contro le case di personalità pagane o presunte tali, facendo pressione sul prefetto d’Egitto, Entrechio, che pare fosse segretamente pagano, affinché applicasse le leggi imperiali contro il paganesimo.

Pietro Mongo indirizzò i suoi attacchi anche contro un pagano in particolare, Orapollo, filosofo neoplatonico praticamente cresciuto all’accademia, il cui nome veniva maledetto nelle chiese e pubblicamente. Orapollo venne arrestato con lo zio Heraiscus, entrambi furono torturati, ma non rivelarono il nome di altri pagani. Poco dopo la scarcerazione, Heraiscus morì e attorno alla sua sepoltura nacque una leggenda: si raccontava infatti che mentre veniva sepolto, un raggio di luce colpisse il sudario e lo ricoprisse di geroglifici e simboli degli dei. Orapollo fece una fine forse peggiore: si convertì. Un po’ per scoramento e un po’ per avere più possibilità di vittoria in tribunale, a quanto sembra: la moglie, figlia di quell’Heraiscus, pagano tanto importante e cresciuta tra i filosofi, diede scandalo scappando con l’amante straniero e svaligiandogli la casa. All’epoca della conversione è improbabile che avesse ricevuto ulteriori pressioni, perché sia Pietro Mongo che l’imperatore Zenone erano morti e ad Alessandria c’era un periodo di relativa tranquillità.

Ormai, la città non richiedeva particolari sforzi di conversione, perché aveva già affermato il suo ruolo nel cristianesimo con le dispute sulla natura di cristo. Alessandria perse da allora il suo ruolo nel paganesimo e nella filosofia in generale; la loro sopravvivenza si spostò altrove e oltre i confini dell’impero romano.

 

Testi consultati

Manuela Simeoni

30.09.2011

 

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