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SACRALITÀ DELLA DANZA IN GRECIA E A ROMA

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Danza e musica sono state fondamentali nel culto della Grecia antica fin dai tempi di Creta e non c'è bisogno di ricorrere all'Egitto antico, dove pure la danza era altrettanto importante, per spiegare la centralità del muoversi a tempo di musica. Ritmo e movimento ad esso collegato sono insite nell'uomo e nella natura, al punto che in tutte le culture ritroviamo musica e danza connesse al rito e al culto, spesso come rappresentazione della vita. Questo vale persino nella severa Roma, dove gli antichissimi collegi sacerdotali dei Salii e degli Arvali praticavano i loro riti danzando, anche se la danza in sé e lo spettacolo teatrale danzato erano visti in società con un po' di diffidenza.

Quando pensiamo alla danza in Grecia, ci vengono subito in mente Dioniso e il teatro, con i suoi cori, che erano cori veri e propri e si muovevano con precise coreografie. A Dioniso era dedicato il ditirambo, una danza concitata con un solista, che rappresentava probabilmente il dio, e un coro; dal ditirambo si ritiene si sia sviluppato poi il teatro. Satiri e Menadi, nel corteo di Dioniso, sono i "primi ballerini" della mitologia greca, non i più antichi, ma certamente i più famosi. La parola Menade viene dal verbo greco che significa "infuriare", nel senso di essere folli. Questa follia, che i romani chiamavano furor, era strettamente connessa con la presenza di una divinità: era furor quello delle Baccanti che danzavano nei riti estatici, ma anche quello del poeta ispirato e quello del guerriero in battaglia. In tutti e tre questi casi, ritroviamo la musica o la danza. Nei riti estatici, la danza era utilizzata per esprimere la divinità e la sua presenza. La divinità c'è già e ci si mette in comunicazione con lei quasi imitandola. Se Dioniso è il flusso della vita, la vita che scorre, il movimento fluido del corpo a tempo di musica mette l'uomo in relazione con questo flusso.

Diverso è il furor del poeta, ma sempre legato alla musica e alla danza. La metrica greca, come quella latina, è infatti basata sull'intonazione delle sillabe e sulla lunghezza della loro pronuncia. La parola "musica" ci ricorda le Muse: tra esse c'è anche Tersicore, Musa della danza, e spesso sono rappresentate danzanti. Le divinità "di gruppo", cioè quelle che vengono nominate al plurale e più raramente singolarmente, sono spesso raffigurate nell'atto di danzare: danzano le Menadi e le Muse, ma anche le ninfe dei boschi, le ninfe seguaci di Artemide e le tre Cariti o grazie, la cui danza rappresenta tra le altre cose l'arte di dare e ricevere. Un genere intero della poesia greca, la lirica corale, era destinata alle danze ed era spesso dedicata ad una divinità.

Tra gli autori più noti della lirica corale greca c'è sicuramente Pindaro; Pindaro compose non solo le odi ai vincitori dei giochi che si tenevano in diverse feste panelleniche, ma anche canti religiosi, di cui però ci restano solo i frammenti. Tra questi canti religiosi c'era un inno a Pan, che ci è pervenuto in frammenti abbastanza estesi, e diversi peani. Il peana era un canto di lode rivolto soprattutto ad Apollo, come il ditirambo era per Dioniso. In un secondo momento la parola peana divenne sinonimo di inno e ci sono peana ad altre divinità, soprattutto ad Artemide. Le due divinità, Apollo e Artemide, condividevano anche un tipo particolare di danza, di gruppo, a catena.

La danza a catena e il fatto che il peana fosse un canto intonato prima di andare in battaglia ci riporta a quel terzo significato di furor che abbiamo detto poco fa: il furor del guerriero in battaglia. Greci e romani sono però più favorevoli alla disciplina del furor dei propri soldati, piuttosto che al suo libero sfogo in battaglia e questo è comprensibile se pensiamo alle tattiche usate che richiedevano una certa compattezza dello schieramento. Luciano di Samosata scrive che gli Spartani utilizzavano la musica e la danza per disciplinare lo spirito battagliero e andavano in battaglia accompagnati non da un tamburo, che avrebbe esaltato lo spirito guerriero oltre misura, ma dai flauti. Lo schieramento militare e lo schieramento dei ballerini in una danza di gruppo hanno la stessa necessità di muoversi all'unisono e ben coordinati. L'opera di Luciano, intitolata appunto Sulla danza, è la maggiore opera sulla danza nel mondo antico. In Grecia, la danza era considerata una parte importante dell'educazione dei giovani, sia maschi che femmine.

Anche la danza militare rientrava nelle celebrazioni religiose: non solo Callimaco ci racconta di una danza in onore di Artemide fatta dalle Amazzoni armate (Inno ad Artemide, 240), ma sappiamo che un tipo particolare di danza, detta pirrica, era eseguita da soldati armati in diverse occasioni religiose. Nella mitologia abbiamo poi i Cureti, che proteggevano Zeus con una rumorosa danza di guerra che impedì a Kronos di sentir piangere il dio neonato. I Cureti del mito furono confusi poi con i Coribanti, i sacerdoti di Cibele che eseguivano una danza estatica al suono di tamburi e sonagli.

Le danze misteriche, estatiche e selvagge, giunsero poi anche a Roma, dove però, come i culti stessi che celebravano, non furono sempre visti di buon occhio. Ma a Roma la danza come rituale e parte di un culto esisteva già: Salii e Arvales, i collegi sacerdotali più antichi a Roma, tenevano delle processioni danzanti e il nome stesso di Salii deriverebbe dal verbo che significa appunto danzare. Con i Salii siamo ancora nell'ambito delle danze guerresche: i Salii erano infatti sacerdoti di Marte, anche se nei loro carmina invocavano diverse divinità, e nelle loro danze percuotevano dodici scudi. Le cerimonie dei Salii aprivano e chiudevano la stagione della guerra: in tutto il Lazio le città avevano i propri Salii, che possiamo considerare un sacerdozio comune almeno a tutti i Latini.

Fin qui, potremmo pensare che la danza religiosa a Roma fosse originariamente ritenuta un "affare da uomini". Invece la maggior parte dei libri e i dizionari sui Salii dimenticano di menzionare le Saliae virgines, ovvero la parte femminile del collegio sacerdotale: queste sacerdotesse, ci dice Festo, vestivano come i loro colleghi uomini e probabilmente sacrificavano a Marte nel suo santuario presso la Regia.

Opere consultate

Manuela Simeoni

 

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